Teologia dell’icona
Le icone sono qualcosa di immensamente più importante di un oggetto artistico: sono preghiera, sono contemplazione, di chi le crea e di chi le ammira, frutto sempre nuovo di una tradizione millenaria di vita ecclesiale, di teologia e di liturgia.
Così come Dio si è incarnato in un uomo, così la preghiera e l’amore per Dio possono incarnarsi in una tavola di legno, che non è venerata di per sè, ma in quanto è via al Padre. La comunità monastica di Pulsano dà notevole spazio al culto delle icone, sia in ossequio al rito bizantino che pratica, sia perchè fermamente convinta che, nella tempesta di immagini cui siamo quotidianamente sottoposti in quest’epoca, immagini troppo spesso offensive della bellezza e della dignità del creato, dobbiamo ripartire per la nostra educazione spirituale da quelle immagini che siamo noi, icone di Dio. Qui di seguito un breve saggio introduttivo alla teologia dell’icona.
La Chiesa Ortodossa ha riservato il termine icona, dal greco εἰκόνα, immagine, alle sole tavole in legno, dipinte con tecnica particolare, quasi esclusivamente a tempera, con colori impastati con giallo d’uovo e aceto, secondo una tradizione tramandata da secoli.
Le tavole su cui venivano eseguite dovevano essere in legname di qualità non resinosa, seppure varia a seconda delle regioni di provenienza. Il ceppo era squadrato prima a misura voluta, poi lavorato con la raspa per ottenere un leggero incavo sul fondo; il bordo laterale veniva a formare la cornice a rilievo e nello stesso tempo consentiva la successiva adesione degli strati sovrapposti dei colori. Se la tradizione d’Occidente non trova difficoltà nel considerare la forma estetica distaccandola dal contenuto di fede che vuole esprimere, lo stesso non avviene per l’arte iconica la quale costituisce, ancor più che una testimonianza di fede, l’annuncio del mistero della salvezza. Con il tempo la Chiesa ha evocato a sé tutto quanto concerne l’arte sacra e ha imposto l’obbligo del rispetto di regole precise per cui l’artista ancora oggi è soggetto a un canone che, solo, regola l’esecuzione della sua opera.
Il VII Concilio Ecumenico, riunito l’anno 787 a Nicea, precisava che l’opera di pittura sacra non era inventiva personale di artisti pittori e quindi doveva essere considerata opera d’arte nella Regola confermata, e nella Tradizione della Chiesa. E la Chiesa, oltre alla abilità artistica, dal pittore esigeva la preparazione spirituale adeguata.
L’iconografo è stato per lo più un monaco, esperto nel dogma e nella vita di ascesi: preghiera cioè, silenzio, rinunce, digiuno anche dello sguardo, elevazione al mondo soprannaturale e all’esempio dei santi. L’icona, infatti, è un’immagine per i nostri occhi di carne ma anche e soprattutto per gli occhi della fede: l’icona vuol essere immagine dell’invisibile ed educatrice della fede. Con mezzi terreni – forma, colore, luce – l’icona deve tradurre la realtà religiosa dell’aldilà e, dato che il suo obiettivo si trova al di là del visibile, deve sempre lasciarsi regolare non in primo luogo da imperativi estetici ma dalla fede e la Rivelazione.
L’icona va oltre le facoltà dello spirito umano e si apre ad esso soltanto nella contemplazione. Al sacerdote è prescritto di verificare la conformità del titolo con il soggetto dell’icona. Se tutto è regolare, allora egli pronuncia la preghiera di benedizione che renderà l’icona un oggetto di culto degno di meritare la venerazione da parte dei devoti.
Una di tali preghiere è così articolata: «Ascolta, Signore Dio nostro, dalla tua santa dimora e dal trono della gloria del tuo regno, e manda con misericordia la tua santa benedizione su questa icona e, con l’aspersione di questa acqua santa, benedicila e santificala. Consentile forza di guarigione per allontanare ogni malattia, e infermità, e macchinazione diabolica, da tutti coloro che ad essa ricorreranno e davanti ad essa ti imploreranno. A te ci rivolgiamo, da te imploriamo: che la loro supplica sia sempre ascoltata e ben accolta!».
Contemplando le sacre immagini, conviene che tutto ciò sia presente alla mente, allora la curiosità intellettuale si trasformerà in una vera e propria scoperta spirituale e la ricchezza teologica di questa immagine si presenterà come una visione che si trasforma in una apertura del cuore per fare salire la preghiera verso colui che è fonte di ogni verità e bellezza. L’icona diventa luogo di comunione spirituale in una rigorosa fedeltà alla Rivelazione di Cristo.