Mt 16,13-20; Is 22,19-23; Sal 137; Rm 11,33-36
Il racconto di quella che si è soliti chiamare la «confessione di Cesarea» introduce nei sinottici un passo abbastanza omogeneo che riveste particolare importanza. Dalla proclamazione della messianicità di Gesù parte, infatti, una nuova fase dell’annuncio. Gesù aveva predicato e operato soprattutto nella Galilea. La gente era piena di ammirazione ma anche di sconcerto perché il modo di fare di Gesù non corrispondeva a certi schemi entro i quali si era cristallizzata l’immagine del Messia atteso da Israele. «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente». «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa». Non è uno scambio di cortesie tra Gesù, figlio dell’uomo, e Simone, figlio di Giona: queste due affermazioni riguardano da vicino la fede di ogni credente. Gesù compie presso i suoi discepoli quello che oggi chiameremmo un «sondaggio d’opinione»: che cosa dice la gente di lui? Dicono che è un grande uomo, un profeta del passato: Elia, Geremia, o il Battista che è appena stato messo a morte. Sono risposte un po’ deludenti. Forse quelle dei nostri contemporanei sarebbero ancora più eterogenee, e anche più riduttive: in esse si mescolerebbero il meglio e il peggio, il sublime e l’ingiurioso, o l’insignificante. Comunque, una cosa è certa: oggi come ieri, la storia di Gesù non è dietro alle sue spalle, ma davanti a lui. Se Gesù è davvero «il Cristo, il figlio del Dio vivente», come dichiara Simone, ispirato dall’alto, allora il suo mistero non è limitato a un punto del tempo e dello spazio, ma abbraccia tutte le generazioni e l’intero universo.
Nella sua confessione di fede, Simone ha intuito come in un lampo, per un attimo, questo mistero. Ed era indubbiamente necessario – e giusto – che…
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