Mt 16,21-28; Ger 20,7-9; Sal 62; Rm 12,1-2
Pietro, e con lui la Chiesa, che poco prima ha confessato la sua fede in Gesù ricevendone in cambio le chiavi del regno, ora viene provato nella sua fede. Quando riconosce in Gesù il figlio di Dio, egli diventa suo discepolo; quando però non accetta il mistero di morte che segna il destino di Gesù, come segna quello della Chiesa, egli diventa un “satana”. Anche qui, come nella descrizione dell’apostolo Pietro che cammina sulle acque, si rimane colpiti dal contrasto tra la sua fede e la sua mancanza di fede.
Gesù è stato riconosciuto da Pietro come il Cristo, il Messia atteso. Ma in che modo? Senza dubbio nella gloria di una regalità vittoriosa. Ed ora il Maestro si presenta come il servo sofferente di Isaia, che riscatta il suo popolo attraverso la passione e la morte. Anche e soprattutto attraverso la risurrezione, certo, ma non è ancora chiaro che cosa egli intenda con questa parola. Allora Pietro, l’impulsivo, spinto da un amore poco illuminato, si ribella all’apparente crudeltà del piano divino. E all’improvviso assistiamo a un totale capovolgimento della sua situazione. Lo stesso Gesù che gli aveva detto: «Beato te!» dopo la sua professione di fede, ora lo rimprovera aspramente: «Lungi da me, satana!». Un momento prima l’apostolo era una «pietra» abbastanza solida perché Gesù potesse costruirvi la propria Chiesa, e adesso viene trattato come un ostacolo, una pietra d’inciampo sulla strada del messia. Gesù, che gli aveva detto: «Il Padre mio che sta nei cieli te l’ha rivelato», ora afferma: «tu non pensi secondo Dio!».
«Lungi da me!». L’ingiunzione rivolta a Pietro, che letteralmente significa «Passa dietro a me!», può essere interpretata da ogni cristiano come un invito a seguire il Maestro: come il Cristo, il discepolo non può eliminare dalla propria vita la croce della salvezza. Davvero i pensieri di Dio non sono quelli degli uomini. «Non bisogna salvare la propria anima come si salva un tesoro. Bisogna salvarla come si perde un tesoro. Spendendola» (Ch. Péguy).
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