Lectio divina Domenica «DELLA PARABOLA DEI TALENTI», XXXIII del Tempo Ordinario A

Mt 25,14-30; Pr 31,10-13.19-20.30-31 (leggi 31,10-31); Sal 127; 1 Ts 5,1-6

 

La parabola dei talenti continua la lettura di Matteo 25, la seconda parte del grande discorso escatologico fatto da Gesù sulla fine dei tempi. Nel racconto parabolico il messaggio non è tanto il dialogo tra il padrone e i due primi servitori, quanto il dialogo serrato tra il servitore condannato per la sua pigrizia e il padrone che esige una giustificazione. Il servitore si crede nel giusto quando non osa rischiare e quando seppellisce il talento ricevuto per poterlo restituire intatto; si difende dicendo che il padrone «miete dove non ha seminato». Così, in nome della giustizia, contesta al suo padrone il diritto di richiedergli più di quello che gli ha dato: «Io sono giusto, sei tu che non lo sei». È l’atteggiamento degli operai della prima ora che sono indignati per la condotta del padrone della vigna. Sono le recriminazioni del figlio maggiore contro il padre nella parabola del «Padre prodigo d’amore». Il dono è per fruttificare. La difesa è la tattica della sconfitta. Non osare può sembrare prudenza ma alla fine è prova di pigrizia. Chi non mette in atto l’annuncio ricevuto e non sa trarre alcun vantaggio da ciò che ha ricevuto è come l’invitato al festino che non veste l’abito di nozze o come le ragazze del corteo nuziale che non hanno riempito la lampada di olio: pigre e stolte. L’immagine della donna perfetta è un modello di saggezza e di comportamento che deve caratterizzare l’attesa del regno: fedeltà coniugale, lavoro, autenticità di valori (prima lettura).

Non è invece un modello il terzo servo della parabola; egli ha paura del padrone, una paura che il cristiano non deve avere dal momento che nel battesimo è diventato «figlio» (seconda lettura). Però Paolo esorta:…

 

 

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