Mc 1,29-39; Gb 7,1-4.6-7; Sal 146; 1 Cor 9,16-19.22-23
Gesù «esce dalla sinagoga» (cf. Evangelo), dal luogo nel quale l’uomo credeva di potere e dover attendersi una risposta da Dio alle sue domande e dove già il Maestro aveva lasciati stupefatti i suoi uditori insegnando la verità di Dio più con le opere che con le parole: liberando cioè un uomo dalla sua oppressione (cf. Mc 1,27). All’uomo afflitto che lo interroga, Dio certo non risponde con una autogiustificazione. Dio risponde con la verità della sua Parola fatta carne, fatta Uomo compassionevole, fatta Uomo dei dolori.
In Gesù, Dio «esce» da se stesso, o piuttosto dalla forma divina in cui l’uomo era abituato a riconoscerlo. Rinuncia ad autogiustificarsi, a «dimostrarsi» verace nella sua promessa di amicizia per l’uomo, se non facendosi egli stesso uomo crocifisso.
Gesù che guarisce «prendendo per mano», nel gesto dell’amico compassionevole, e «risollevando» (è lo stesso verbo usato nel linguaggio neotestamentario per indicare l’evento pasquale di Cristo); Gesù che «si alza nella notte a pregare»: riaprendo così le labbra dell’uomo ammutolito al dialogo con il Padre – un dialogo che conosce ancora ormai solo la forma della domanda: «Mio Dio, perché?». Questo Gesù: è lui la risposta di Dio all’interrogativo dell’uomo. La Chiesa dei credenti ha ricevuto la Parola di compassione, la risposta alla domanda della sua afflizione: è stata presa per mano e risuscitata. Ora si impone per essa il compito del servizio: di essere..
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