Mc 7,1-8a.14-15.21.23 (leggi 7,1-23); Dt 4,1-2.6-8; Sal 14; Gc 1,17-18.21b-22.27
Ritorniamo a leggere l’Evangelo di Marco con una domanda: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo senza essersi lavati le mani?». La domanda può sembrarci ridicola, legata a una serie di problemi che oggi non hanno più significato. Da tempo, ormai, la chiesa primitiva ha risolto la questione delle osservanze della legge mosaica. Tuttavia le cose non sono così semplici… Gli scribi e i farisei si riferiscono a quell’insieme di prescrizioni e di usanze che precisavano ed interpretavano la legge, perché la religione si inserisse concretamente nella realtà della vita. Gesù non nega la validità di questa preoccupazione, che però non deve mai mascherare l’essenziale, che è la disposizione interiore, la limpidità della coscienza, l’impegno leale della propria libertà di fronte a Dio. Ciò che conta, agli occhi di Dio è il nostro cuore, da cui deve scaturire il culto che dobbiamo rendere a lui con tutta la nostra vita. I comportamenti religiosi devono esprimere la nostra realtà interiore, la verità di una decisione libera e sincera. In questi ultimi decenni, abolendo molte prescrizioni esterne, la chiesa non ha fatto che richiamarci ai valori essenziali della fede.
L’Evangelo è lontano sia dal legalismo sia dalla permissività senza limiti. L’osservanza che non impegna il cuore non è altro che un legalismo ipocrita, che si costruisce la falsa sicurezza attraverso una serie di gesti formali ineccepibili, senza chiamare in causa la totalità del dinamismo vitale della fede.
Ma il cuore che rifiuta ogni legge, nega la necessità di disciplinare la difficile coesistenza, in noi, dell’uomo vecchio e dell’uomo nuovo…
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