Luca 15,1-3.11-32; Giosuè 5,9a.l0-12; Salmo 33; 2 Corinti 5,17-21
DISCORSO 112/A SU I DUE FIGLI, DALL’EVANGELO
di sant’Agostino, vescovo
Argomenti di questo Evangelo già trattati la domenica precedente.
- 1. Non dobbiamo soffermarci sugli argomenti già esposti esaurientemente, ma come su di essi non dobbiamo indugiare, così è anche opportuno richiamarli alla memoria. La vostra Prudenza ricorda che domenica scorsa cominciammo a tenere il discorso sui due figli, che sono stati letti anche oggi dal Vangelo, discorso che non poté essere terminato. Ma Dio nostro Signore ha voluto che anche oggi, dopo quella tribolazione, parlassimo a voi. Si deve soddisfare dunque il debito del discorso, si deve mantenere sempre il dovere della carità; ci aiuti il Signore affinché la nostra modesta persona sia capace di soddisfare la vostra aspettativa.
Che significano i due figli, la sostanza e le meretrici.
- 2. L’uomo che ha due figli è Dio che ha due popoli: il figlio maggiore è il popolo dei giudei, il minore è il popolo dei pagani. Le sostanze ricevute da parte del Padre sono l’anima, l’intelligenza, la memoria, l’ingegno e tutte le facoltà che Dio ci ha dato per conoscerlo e adorarlo. Ricevuto questo patrimonio, il figlio minore se ne andò in un paese lontano, cioè arrivò fino alla dimenticanza del suo Creatore. Consumò tutto il suo patrimonio vivendo da scialacquatore; pagando senza acquistare, spendendo ciò che aveva senza ricevere ciò che non aveva, vale a dire consumando tutto il proprio ingegno nelle dissolutezze, negli idoli, in tutte le passioni disoneste, che la Verità chiama meretrici.
La curiosità illecita è mancanza di verità.
- 3. Nulla di strano che a quella dissolutezza tenne dietro la fame. Ora in quel paese ci fu una grande carestia, non la carestia del pane visibile, ma la mancanza dell’invisibile verità. Spinto dalla carestia accorse da un capo di quel paese. Costui viene inteso come il diavolo, il capo dei demoni, sotto il cui potere vanno a precipitare tutti i curiosi, poiché ogni curiosità illecita è una funesta penuria di verità. Quel giovane invece, staccatosi da Dio per la fame della mente, fu ridotto in schiavitù ed ebbe in sorte l’incombenza di pascere i porci; di una tale schiavitù sono soliti godere i demoni più vili e immondi; non senza motivo infatti anche il Signore permise ai demoni d’entrare in un branco di porci. Questo giovane poi si cibava di carrube ma non si sfamava; noi prendiamo le carrube nel senso degli insegnamenti mondani, altisonanti, ma che dànno scarso nutrimento, degni di pascere i porci ma non gli uomini, cioè tali da rallegrare i demoni ma non giustificare i fedeli.
Che significa il ritorno in sé e il pane dei mercenari.
- 4. Capì alla fine in qual condizione era ridotto, che cosa aveva perduto, chi aveva oltraggiato e in potere di chi era corso a gettarsi e tornò in se stesso; prima tornò in se stesso e poi tornò dal padre. Forse avrà detto: Il mio cuore m’ha abbandonato; per questo motivo era necessario che prima tornasse in se stesso e così conoscesse d’essere lontano dal padre. Questo rimprovero rivolge la Scrittura ad alcuni, dicendo: Tornate, trasgressori, al cuore. Tornato in se stesso si trovò miserabile: Ho trovato – disse – tribolazione e dolore, e ho invocato il nome del Signore. Quanti salariati di mio padre – disse – hanno cibo in abbondanza! Io invece sto qui a morir di fame . In qual modo gli sarebbe venuta in mente una simile cosa, se non perché già veniva annunciato il nome di Dio? C’era dunque cibo presso alcuni, che in verità non pensavano rettamente e avevano di mira uno scopo diverso; dei quali è detto: Vi assicuro che hanno ricevuto la propria ricompensa . Individui siffatti sono da considerarsi mercenari e non figli, come quelli cui accenna l’Apostolo, quando dice: Sia per pretesto, sia sinceramente, purché Cristo sia annunciato . In realtà vuole intendere alcuni i quali sono mercenari per il fatto di cercare i propri interessi ma hanno un cibo abbondante per il fatto che predicano Cristo.