Luca 14,1.7-14; Siracide 3,17-18.20.28-29; Salmo 67; Ebrei 12,18-19.22-24a
- La vera umiltà
Vorrei dirti di guardarti dall`orgoglio e ti vorrei raccomandare una sincera umiltà, in modo che in tutte le tue azioni, quando rifletti su te stessa non ti senta mai sicura. E parliamo di questo dono utilissimo di Dio, per aiutarci a scoprire non solo le cose palesi, ma anche quelle occulte della nostra coscienza. È una virtù multiforme, bella nelle sue espressioni esteriori, ma di gran lunga più luminosa e bella nei suoi aspetti intimi; dove nulla è oscuro, torbido, inquieto, poiché: “È grande la pace di coloro che amano la legge li Dio; nel loro cammino non trovano inciampo” (Sal 118,165).
Dovendo parlare della beata umiltà, scartiamo subito tutte le forme di avvilimento che affliggono gli animi indolenti e incostanti, ed evitiamo di dar gloria di umiltà ad azioni che umili non sono. Alcuni gesti, nati da uno stato di necessità, sono simili ai gesti fatti per elezione di libera volontà, e la modestia può essere confusa con l`indolenza. Ma altro è non aver la forza d`agire, altro è domare il proprio impeto, e diversissimo è l`esito d`una irremovibile miseria e altro quello d`una fortezza, che esercita la sua pazienza.
Così la parola «povertà» è una sola, ma i poveri non son tutti uguali; perché altro è godere di ricchezze bene impiegate, altro è lamentarsi di ricchezze che non sei riuscito ad afferrare, o che hai perduto. Anche la parola “timor di Dio” è una sola; ma altro è temere Dio, perché hai peccato, e altro è temerlo, perché non vuoi peccare, il primo è timore della pena, il secondo è amore del premio. Leggiamo, infatti: “L`amore perfetto scaccia il timore” (1Gv 4,18) e: “Il timore del Signore è santo, rimane in eterno” (Sal 18,10). Scartata, allora, quella umiltà apparente, che non serve a niente, prendiamo in considerazione gli atti d`una virtù cosciente e voluta, atti che non son tutti uguali tra loro, ma son sempre, comunque, in linea con la virtù.
La prima nota dell`umiltà è la fedeltà agli impegni della vita comune, attraverso i quali essa si accaparra la benevolenza di Dio e stringe i vincoli della vita sociale. L`umiltà rafforza la carità. L`Apostolo dice: “Amatevi, onorandovi scambievolmente” (Rm 12,10).
E cresce la carità, quando l`umile crede gli altri superiori a sé e ama di servire, e, se è messo a comandare, non si gonfia. Cresce la carità, quando il povero s`inchina facilmente al ricco e il ricco ha piacere di sollevare il povero al suo rango: quando il nobile non si gloria dei suoi titoli familiari e i poveri non accampano la comunanza della natura; quando non si fa più conto delle grandi fortune che dei buoni costumi, né è stimata di più la decorata potenza dei malvagi che la disadorna giustizia dei superiori.
Da questo equo e modesto diritto della concordia, in cui non c`è gara per emergere sugli altri, né la fortuna fa gonfie le cose proprie o brucia le altrui, alcuni progrediscono meravigliosamente verso quella fortezza dell`umiltà, che da se stessa si pone al di sopra di ogni dignità…
Poiché, dunque, la Chiesa di Dio, che è il corpo di Cristo, è così bene fusa nella sua molteplice varietà, che tutte le parti, anche diverse, concorrono ad un unico splendore, e d`ogni specie di uomini, d`ogni grado di ministeri, da ogni opera e da ogni virtù nasce un`inseparabile unità di struttura e una sola bellezza, e non manca al tutto ciò che non manca alle parti, ed ha tanta concordia che non può non essere di tutti ciò che è anche di ciascuno, è evidente che vi deve essere una forza copulatrice che tiene insieme e fonde tutta la molteplicità e diversità dei santi. E questa forza è la vera umiltà, la quale, qualunque sia la diversità dei diversi gradi, è sempre simile a se stessa. Infatti nei gradi degli uffici, nella dolcezza della mansuetudine, nella povertà volontaria c`è molta diversità, e l`intensità del proposito fa necessariamente dei più e dei meno; nella vera umiltà invece non c`è divisione e tutto è comune, l`umiltà fa di tutti i suoi cultori una cosa sola, perché non tollera disuguaglianze.
(Pseudo-Prospero di Aquitania, Ad Demetriadem, 1-6, già attribuita a Leone Magno)