SOLENNITÀ «DEL SIGNORE NOSTRO GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO», DOMENICA XXXIV anno C

 

Lc 23,35-43; 2Sam 5,1-3; Sal 121; Col 1,12-20

 

 

Riconoscendo che Gesù è re, noi crediamo che con lui Dio ha manifestato in modo pieno che la realizzazione dell’uomo può avvenire solo nell’obbedienza alla sua volontà. Non c’è azione dell’uomo che non sia sotto il giudizio di Dio, non c’è spazio nella storia che possa fare a meno dei rapporto con Dio per mezzo di Gesù. La dottrina della signoria di Cristo ci insegna ancora che la vita a cui siamo chiamati è la stessa vita che ha vissuto Gesù Cristo: vita di servizio ai fratelli. Vivendola noi confessiamo la sua signoria e diventiamo a nostra volta uomini di pace e di riconciliazione.

Nella Chiesa di Cristo, come in ogni comunità, il ministero (= servizio) della autorità è dato non per l’affermazione personale, ma in funzione dell’unità e della carità. Cristo, buon pastore, è venuto non per essere servito ma per servire (Mt 20,28; Mc 10,45) e dare la sua vita (Gv 10,11). Queste affermazioni aiutano a evitare le ambiguità inerenti al concetto di regalità non inteso nel senso di Cristo.

Cristo è chiamato a guidare il popolo di Dio, ad esserne condottiero (cf prima lettura); la sua regalità è di origine divina ed ha il primato su tutto, perché in lui il Padre ha posto la pienezza di tutte le cose (seconda lettura). Eppure l’Evangelo di Luca presenta la regalità di Gesù riportando la parodia della sua investitura a re dei Giudei sulla croce, che richiama fortemente l’altra parodia avvenuta nel pretorio di Pilato e riportata dagli altri evangelisti. L’investitura regale di Gesù si svolge attorno alla croce, trono improvvisato del nuovo Messia. Per rendere più evidente questo accostamento, Luca ricorda l’iscrizione che domina la croce: «Costui è il re dei giudei» (v. 38), ma senza dire che si tratta di un motivo di condanna (cf Mt 27,37).

In Luca si tratta dunque di una semplice iscrizione, in Marco e in Matteo di un motivo di condanna, in Giovanni di un’affermazione contestata. In ogni caso, quale abisso tra questa formula e lo spettacolo dell’impotenza del crocifisso, tra la salvezza che alcuni attendevano da lui e la realtà di un condannato incapace di salvare se stesso!

Così l’iscrizione tiene il posto della parola di investitura, simile a quella del Padre che investì il proprio Figlio al battesimo (Lc 3,22). Luca, inoltre, introduce qui un episodio riportato altrove (v. 36a; cf Mt 27,48) e vi aggiunge una frase (v. 37b) con la quale la folla attende di conoscere i titoli di Gesù alla regalità, titoli esteriori che Gesù si rifiuta di fornire: egli non vuole che la sua regalità gli venga dallo sfuggire alla sua sorte, ma dalla sua fedeltà alla medesima!

Per Luca, Gesù in croce, fatto oggetto di scherno e di ingiurie, è il prototipo del giusto perseguitato, martirizzato dagli empi che gli lanciano la loro sfida: «Se tu sei il re dei giudei, salva te stesso!».

Salvare è la parola chiave di questo brano. I capi dei sacerdoti, i soldati, il ladrone crocifisso accanto a lui mettono in dubbio la sua potenza regale, eppure Gesù è il Salvatore: potrebbe salvare se stesso, «e anche noi». Ma come comprenderlo senza convertirsi? Soltanto un capovolgimento radicale di noi stessi ci permetterà di cogliere, nella fede, il mistero della croce del Cristo.

Riferendo le reazioni dei due malfattori condannati al medesimo supplizio, l’evangelista mette in luce gli atteggiamenti che è possibile assumere di fronte al messia: il primo perde, se stesso bestemmiando quel re da farsa, mentre il secondo si volge verso colui «per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati» (Col 1,14). E Gesù, che fin dalla tentazione nel deserto ha sempre rifiutato qualsiasi manifestazione di potenza a proprio vantaggio, dimostra ora di poter salvare chi ripone in lui la propria fiducia: «Oggi sarai con me nel paradiso».

«Oggi»: nel tempo del regno che già ha fatto irruzione nel mondo nella persona di Gesù, il solo che ci possa salvare (cf. At 4,12), Guardando la croce, siamo abbastanza, consapevoli di questo? La morte stessa non potrà separarci dalla vita eterna «con Gesù». All’ombra della croce, infatti, si radica la signoria del Cristo e si raduna la chiesa, comunità di malfattori chiamati anch’essi alla salvezza.