L’abbazia nelle forme attuali, gravemente danneggiate da un sisma nell’anno 1646, fu edificata ad opera del beato Gioele, nativo di Monte Sant’Angelo e terzo abate generale dei monaci pulsanesi (1145-1177), sulla vetta del colle di Pulsano, affacciata sul golfo di Manfredonia.
Era molto difficile, se non impossibile, fare fino a qualche anno fa una lettura completa delle murature superstiti dell’antico complesso monastico, a causa dell’abbandono in cui versava da decenni, delle spoliazioni e dei furti degli anni’70-‘90, della rigogliosa vegetazione di rovi e sterpi che invadevano soprattutto i siti più antichi, dei crolli di alcune strutture avvenute a seguito di un ulteriore terremoto nel 1995, e infine delle costruzioni eseguite negli anni ’50 da parte dell’ultimo rettore della chiesa abbaziale, che incombono e insistono sui vetusti fabbricati medievali. L’accesso all’abbazia pulsanese, bellissimo esempio di romanico pugliese, è dato oggi da un portale esterno decorato da una raffinata fascia ornamentale con motivi vegetali a forte intaglio, su cui si sovrappone una ghiera semilunata. Passato l’arco si prosegue per un vestibolo sul cui lato destro si aprono alcuni ambienti: un antico e pregevole camino monastico, celle, ambulacri, anditi, cortili, sottopassaggi, e altre strutture non meglio identificate per via dei rimaneggiamenti e delle stratificazioni che si sono succeduti nel corso dei secoli: ricordiamo che l’abbazia edificata dal beato Gioele ampliava l’opera del fondatore S. Giovanni Abate, che a sua volta aveva restaurato un insediamento monastico preesistente, il quale si era sovrapposto presumibilmente ad antichissimi luoghi di culto pagani. Una sequenza interessante di arcate di altezze diverse, procedente da est verso ovest anche oltre la chiesa abbaziale, testimonia ancor oggi quella che probabilmente era la primitiva struttura della prima chiesa rupestre, antecedente l’insediamento di S. Giovanni Abate e dei suoi monaci pulsanesi – tuttavia del periodo precedente il XII secolo non abbiamo nessuna evidenza archeologica certa.
Proseguendo, un secondo arco, sopra il quale è una deliziosa monofora con foglie d’acanto intagliate (del tutto simili alle decorazioni delle chiese di Santa Maria Maggiore di Monte S. Angelo e Siponto), segna il posto dove doveva essere l’antico portale d’ingresso del monastero. Oltre ci si ritrova in un piccolo cortile, dove fino al terremoto del 1646 arrivava la navata della chiesa, accorciata per il crollo di una o due campate. La facciata originaria della chiesa abbaziale è infatti andata perduta, ed è stata completamente ricostruita conservando solo alcuni degli elementi originari. Vi ammiriamo innanzitutto la bella cornice trasversale, sotto cui si apre l’ampio portale a tutto sesto in cui è intagliato un lungo tralcio, segno della Chiesa tralcio di quella Vite che è Cristo, inframmezzato da numerose decorazioni naturalistiche, molto simili a quelle dell’abbazia di S. Leonardo a Siponto. Sopra la cornice invece vi sono due finestroni rettangolari ed un rosone, decorati con raffinatissimi motivi, i medesimi della monofora anzidetta. Altri preziosi frammenti scultorei provenienti da Pulsano, ora conservati nel museo della Basilica di San Michele a Monte S. Angelo, ci suggeriscono che queste decorazioni furono opera degli stessi artigiani attivi a Siponto, rinomate maestranze che operarono sia in Puglia sia in Abruzzo nella seconda metà del XII secolo. All’interno, la chiesa ha un’unica navata con volta a botte (tipo di copertura abbastanza diffuso nelle abbazie benedettine del XII secolo) attraversata da tre grandi archi trasversali su semipilastri addossati alle pareti. Si notano inoltre sulla parete laterale alcuni archi ciechi, testimonianza che la chiesa doveva avere una pianta alquanto diversa.
a navata termina innestandosi in una cavità naturale, luogo sacro fin da tempi antichissimi, usata in qualità di presbiterio e di abside, come già per la famosa basilica di S. Michele in Monte S. Angelo.A questa abside naturale sono collegate piccole cappelle, in realtà diramazioni della grotta: quella a destra dedicata alla Natività della Madre di Dio, Patrona dell’Abbazia, quella a sinistra, subito dopo il luogo della corale, custodisce il SS. Sacramento, sotto il quale riposano le ossa del beato Giordano da Monteverde, secondo abate di Pulsano morto nel 1145. In fondo all’abside si trova una fastosa edicola secentesca, nella cui nicchia centrale era custodita l’icona della Madonna odigitria di Pulsano, rubata nel 1966 e ora sostituita con un’icona analoga, altrettanto bella anche se non altrettanto antica: l’icona originaria, tipico esempio di “adriobizantinismo”, risale infatti con ogni probabilità al XII secolo. Dinnanzi all’edicola è stata collocata l’antichissima mensa quadrata dell’altare di Pulsano, consacrata da papa Alessandro III, pellegrino al Gargano nel 1177, uno dei pochi esempi di altari bizantini ancora presenti in Italia. Sotto di esso furono conservate per sette secoli le ossa di S. Giovanni Abate e vi sono ancora custoditi i resti mortali di altri santi monaci pulsanesi, in particolare del beato Giovanni da Siponto detto il Buono.
Il predetto Papa vi traslò inoltre le reliquie dei santi martiri romani Lorenzo, Ippolito, Nicandro e Valeriano, a tutt’oggi presenti in abbazia. Davanti l’altare, sotto la nuda roccia, sono stati collocati dalla nuova comunità monastica un coro ligneo e una sobria iconostasi, adorna di splendide icone: apparato necessario, rispettivamente, per la recita del Divino Ufficio e per la celebrazione della messa bizantina secondo il rito di S. Giovanni Crisostomo. Passando per le sue “porte regali”, oggi i monaci possono tornare a celebrare rituali antichi ma sempre nuovi, in quanto sia la liturgia orientale che quella latina ritrovano qui, nella Puglia bizantina e cattolica, la propria culla naturale.