Nelle letture Gesù si presenta come il pastore secondo il cuore di Dio, quello annunciato dai profeti. Egli conosce intimamente il Padre e trasmette questa conoscenza ai suoi. Gesù guida i suoi con l’autorità di chi ama e ha dato la sua vita; i discepoli, nella fede, ascoltano la sua voce e lo seguono. I capi in Israele e poi nella Chiesa dovevano essere servi dell’unico pastore; ma troppo spesso, seguendo interessi egoistici e visioni politiche inadeguate, hanno tradito, fuorviato, depredato il gregge di Dio.
Il discorso sui «pastori» della Chiesa oggi non è facile, per le incrostazioni storiche che hanno deformato prospettive e falsato mentalità anche tra i fedeli. Restituire ai pastori e alle loro funzioni nella Chiesa la verità e l’autenticità è compito oggi urgente. Il Papa, supremo pastore, viene ancora visto in troppi ambienti come un capo politico, un raffinato diplomatico, l’espressione di un assolutismo scavalcato dai tempi. Mentre urge presentarlo, qual è veramente, come il centro di unità e di coesione della Chiesa.
Il Vescovo poi non è un dignitario, un alto funzionario dello spirito, lontano e distaccato dal suo gregge, ma il centro di unità della Chiesa locale, il maestro e il padre della famiglia diocesana.
Il Parroco e i Sacerdoti impegnati nel ministero pastorale non sono dei burocrati e dei funzionari cui rivolgersi per espletare delle «pratiche», per ottenere «raccomandazioni», non sono neppure distributori di elemosine o di sacramenti.
Sono soprattutto «pastori» dedicati totalmente al loro popolo, che servono con amore e dedizione totale. Delegata ad alcuni uomini, l’autorità nella Chiesa non può essere che il segno del governo del Signore: essa non è un assoluto, è tutta in relazione con il Cristo Risorto.
La missione dell’autorità nella Chiesa è quella di rimanere accanto al popolo, sempre, in particolare in questo tempo buio. Siamo onesti, nessuno era preparato ad affrontate la sciagura della pandemia che stiamo vivendo. Ragionare con il senno del poi è sempre facile, e lo è anche in questo caso. Lo facciamo con umiltà, con sentimenti di pace e di servizio.
Oggi, forse a causa della paura, della stanchezza a questa forzata clausura a cui non si era preparati, ci sono segni di cedimento, si ascoltano infatti da più parti discorsi severi nel giudicare il nostro Presidente del Consiglio per le dolorosissime decisioni prese e soprattutto la posizione della Conferenza Episcopale italiana nell’andare incontro al governo per il bene degli italiani e nella volontà di Dio. Occorre ancora pazienza ed amore, sempre ed ovunque, soprattutto nella Chiesa.
Abbiamo accolto con sofferta serenità la decisione del governo, condivisa dalla Cei, di celebrare la Pasqua a porte chiuse. Soli abbiamo cantato l’alleluja e pregato per coloro che si stavano spegnendo in una atroce solitudine. Abbiamo cercato nell’Evangelo e nella preghiera la forza per rimanere, fermi, tutti al nostro posto di combattimento. Ora non dobbiamo perdere la speranza anche dopo la delusione di non poter ancora celebrare l’eucarestia domenicale.
Una situazione d’emergenza richiede uno sforzo straordinario. Ancora in preda della prima ondata non possiamo permetterci un pericoloso, secondo picco di contagi. Non siamo ancora fuori pericolo, ne siamo tutti coscienti, tutti dobbiamo fare la nostra parte. Nella situazione che stiamo vivendo, niente è facile, si tratta di vedere se è possibile. Occorre dialogare e non contrapporsi, ascoltare di più, pensare di più e parlare molto meno.
Gesù è venuto nella carne e da sempre la fede della comunità dei credenti si basa proprio sulla “carne” di Gesù (“Il Verbo si fece carne”, Gv 1,14). Il progetto divino si è manifestato, e continuamente si realizza, nella “carne” (“egli fu manifestato in carne umana”, 1 Tm 3,16), ovvero nella debolezza di un’esistenza umana (Mt 26,41; Eb 10,26), non in un semidio.
È attraverso la carne che il dono di Dio si fa concreto, reale ed efficace, e non esistono doni divini che non si esprimano attraverso la carne. Pertanto, credere in Gesù il Cristo, Figlio di Dio, venuto nella “carne”, significa accettare di lasciarsi coinvolgere dalla sua stessa onda d’amore, avere l’identico atteggiamento del Dio che si è fatto carne per essere vicino a ogni creatura, per “cercare e salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10). L’anticristo si propone di trasformare Gesù e la Chiesa in vuoti simulacri, dove lo splendore esteriore nasconde il nulla interiore, come l’albero di fichi, tutto foglie e senza frutti (Mc 11,12).
Si poteva fare meglio? Si deve fare di più? Ricordando che il di più spesso viene dal Maligno (Mt 5,37), obbediamo al Pastore, Gesù Cristo! E dunque anche ai suoi ministri, inviati per il servizio nella e per la Sua Chiesa: il Papa, i Vescovi, i presbiteri, i diaconi, e poi catechisti, maestri, genitori, ecc.
Un vescovo del primo secolo, Policarpo da Smirne, scrive ai credenti di Filippi, che “chi non riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è un anticristo” (Fil. 7,1). Il pericolo è dovuto al fatto che l’anticristo non è una realtà singola, che si potrebbe facilmente circoscrivere e neutralizzare, ma plurale: “Molti anticristi sono già venuti” (1 Gv 2,18). L’estrema pericolosità degli anticristi consiste nel fatto che costoro non agiscono al di fuori, o contro la comunità dei credenti, ma si annidano al suo interno, e si pongono come campioni dell’ortodossia. L’anticristo si propone infatti come strenuo difensore delle tradizioni della Chiesa, fedele osservante e interprete della sua dottrina immutabile. La preposizione anti, che precede cristo, indica sostituzione, non avversario, per cui la figura dell’anticristo è una presenza subdola, in quanto non agisce come un nemico del Cristo, ma, al contrario, si erge quale suo paladino.
Non dividiamoci! È questa opera diabolica. Tutta la Chiesa sta soffrendo, sperando, pregando. Stiamo condividendo il poco pane che avevamo in dispensa. In queste settimane i nostri pastori si sono inventati mille modi per non lasciare solo il popolo loro affidato, per rimanergli accanto. Improvvisati preti on line con le catechesi, le preghiere, le messe celebrate nelle chiese vuote sono seguiti ogni giorno dai fedeli. Si poteva fare meglio? Si deve fare di più?
Seguiamo ancora il Pastore!
Pietro Distante, monaco