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La Comunione spirituale

In questi tempi difficili in cui la vita comunitaria e la Santa Comunione ci sono impedite, ci rimane la comunione spirituale! Grazie a una consolidata tradizione cattolica, tutti possiamo ricevere spiritualmente l’Eucaristia, predisponendosi con il cuore ad accogliere Gesù.

Secondo lo stesso San Tommaso, questa pratica, più volte usata, autorevolmente confermata dal Concilio di Trento, consiste in un desiderio ardente di ricevere Gesù sacramentato e in un abbraccio amoroso come già fosse ricevuto.

«Non posso ricevere la Santa Comunione così spesso come lo desidero – ripeteva Santa Teresa di Gesù Bambino – ma, Signore, tu non sei l’Onnipotente? Rimani in me, come nel tabernacolo, non allontanarti mai dalla tua piccola ostia».

Nel 1928, una paralisi progressiva delle vie digestive in giovane età impedì alla mistica francese Marthe Robin di deglutire qualunque cibo o bevanda. Ma la donna, divenuta venerabile per la Chiesa nel 2014, continuò a vivere per altri 50 anni e oltre, ricevendo l’ostia della Comunione una volta alla settimana. «Tutti i giorni nei quali non ho la gioia di ricevere la santa Eucaristia e più volte durante la giornata – affermava – faccio la comunione spirituale, la comunione di spirito e di cuore».

Nell’enciclica Ecclesia De Eucharistia, riferendosi all’importanza di «coltivare nell’animo il costante desiderio del Sacramento eucaristico» attraverso tale pratica «felicemente invalsa da secoli nella Chiesa e raccomandata da Santi maestri di vita spirituale», Papa Giovanni Paolo II nomina ancora Santa Teresa che, nel suo Cammino di perfezione, scriveva: «Quando non vi comunicate e non partecipate alla Messa, potete comunicarvi spiritualmente, la qual cosa è assai vantaggiosa… Così in voi si imprime molto dell’amore di nostro Signore».

Un santo vicino a noi, Alfonso Maria de’ Liguori, recitava la seguente preghiera:

 

«Gesù mio, io credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento.

Ti amo sopra ogni cosa e ti desidero nell’anima mia.

Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente,

vieni almeno spiritualmente nel mio cuore.

Come già venuto, io ti abbraccio e tutto mi unisco a te;

non permettere che mi abbia mai a separare da te».

 

Un santo molto intraprendente, vescovo e dottore della Chiesa vissuto nel XVIII secolo, nonché compositore del celebre canto natalizio Tu scendi dalle stelle. Un uomo di Dio che dovette affrontare serie emergenze ed era sempre pronto a donarsi ai più poveri. Come fece nella carestia del 1764, che provocò la morte per fame di 300mila persone nel regno di Napoli e una crisi economica senza precedenti. Sant’Alfonso sostenne la spesa di 3.000 ducati e accese dei mutui per calmierare il prezzo del pane. Si narra che digiunava per amore della gente e in tempo di gravi ristrettezze del popolo per comprare il grano vendette due anelli preziosi, la croce pettorale d’oro e le ricche posate d’argento.

E spesso ricorreva alla Comunione spirituale, al pari di tanti altri santi come il già citato Tommaso d’Aquino, Francesco di Sales, Caterina da Siena, Margherita Maria Alacoque.

Siamo tuttavia consapevoli quanto piccola e fragile sia la nostra preparazione teologica. Ovviamente ciò che questa diffusissima preghiera esprime è verissimo e sacrosanto, però nell’insieme essa corre il rischio, ad esempio, di ridurre la “comunione spirituale” alla sola professione di fede nella “presenza reale” o quasi (non è che la comunione sacramentale non sia spirituale). La presenza di Cristo nel tempo successivo all’Ascensione e alla Pentecoste è multiforme, e se diciamo “reale” la presenza eucaristica non è certo in via esclusiva, bensì per sovreminenza (lo ricordò anche il Concilio di Trento). È realissima la presenza di Cristo nella Chiesa, non a caso detta “corpo mistico” da molti secoli prima che tale sintagma venisse a indicare anche le Sacre Specie; realissima è quella di Cristo nelle Scritture, le quali contengono la Parola di Dio che è lo stesso Cristo; realissima è la presenza di Cristo nei fratelli e nelle sorelle, specialmente nei poveri e negli abbandonati (indimenticabili le omelie del vescovo Crisostomo sull’argomento).

La richiesta “vieni almeno spiritualmente nel mio cuore” si trova esposta a fraintendimenti di due ordini: la prima è che il piano spirituale sia in qualche modo inferiore a quello sacramentale, laddove invece è nel piano spirituale che il sacramento (ove sia recepito opportunamente) porta i suoi frutti; la seconda è che s’incorra nell’equivoco per cui la comunione esprimerebbe anzitutto e perlopiù “Gesù che viene nel mio cuore”, laddove invece il primo effetto del pane eucaristico (perlomeno stando alla teologia delle anafore) è l’incorporazione dei fedeli (tutti e singoli) all’unico corpo di Cristo.

 

Papa Francesco, nell’Angelus del 15 marzo scorso, dalla Biblioteca del Palazzo Apostolico ha invitato i fedeli «a riscoprire e approfondire il valore della comunione che unisce tutti i membri della Chiesa. Uniti a Cristo non siamo mai soli, ma formiamo un unico Corpo, di cui Lui è il Capo. È un’unione che si alimenta con la preghiera e anche con la comunione spirituale all’Eucaristia, una pratica molto raccomandata quando non è possibile ricevere il Sacramento. Questo lo dico per tutti, specialmente per le persone che vivono sole».

E nell’omelia a Santa Marta del 19 marzo il Pontefice ha proposto questa preghiera a quanti seguono la Messa per televisione e desiderano restare uniti all’Eucaristia:

 

«Ai tuoi piedi, o mio Gesù, mi prostro

e ti offro il pentimento del mio cuore contrito

che si abissa nel suo nulla e nella tua santa presenza.

Ti adoro nel Sacramento del tuo amore.

Desidero riceverti nella povera dimora che ti offre il mio cuore.

In attesa della felicità della comunione sacramentale,

voglio possederti in Spirito.

Vieni a me, o mio Gesù, che io venga da Te.

Possa il tuo amore infiammare tutto il mio essere, per la vita e per la morte.

Credo in Te, spero in Te, Ti amo.

Così sia».

 

Questi tempi, davvero difficili, ci chiedono un serio impegno di vita in Cristo e nella Chiesa ma questo impegno è l’invito che da sempre il Signore ci fa, come abbiamo ascoltato nell’Evangelo “Del cieco nato”: aprire i nostri occhi e credere in Lui!

 

Pietro Distante, monaco