MONS. FRANCO MOSCONE crs
Arcivescovo di Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo, Presidente della Fondazione “Casa Sollievo della Sofferenza”, Direttore Generale della Associazione Internazionale dei “Gruppi di Preghiera
Cari Fratelli e Sorelle,
la quarta domenica di Pasqua ci presenta l’immagine di Gesù come Pastore buono e bello (il testo greco utilizza proprio l’aggettivo kalòs, che significa bello).
A motivo della figura di Gesù Pastore presentata nel Vangelo, a partire dal 1964 per volontà del Papa San Paolo VI, è la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni.
Nella situazione che stiamo vivendo, che ci riempie il cuore di ansia e preoccupazioni, oltre che di dolore e fatica, diventa momento di bellezza contemplare Gesù come il Pastore amorevole e premuroso delle nostre vite. Lui non ci lascia soli, non è indifferente alla nostra storia e necessità, ci conosce e chiama per nome, ci accompagna con delicatezza e ci fa sentire, con Lui accanto, sicuri.
Vi invito quindi a guardare a Lui, Pastore buono e bello, scoprendolo al nostro servizio.
Questo sguardo, insieme all’ascolto della sua voce, ci permette di interpretare al meglio la vocazione che ci è stata donata ed a cui abbiamo detto e rinnoviamo quotidianamente il nostro sì.
A tutti noi è di aiuto il messaggio che il Santo Padre ci ha regalato per questa 57esima Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni.
Papa Francesco ha messo in rilievo quattro parole: gratitudine, coraggio, fatica e lode.
Ognuna delle quattro parole è collegata ad ogni tipologia di vocazione, che, in risposta fiduciosa alla voce di Gesù “non aver paura, io sono con te”, impegna la vita nel “per sempre”.
Senza pretendere di ridurre la portata del messaggio pontificio vorrei, attraverso brevi suggestioni, riferire ognuna delle singole parole ad una vocazione particolare o ad una stagione della vita in questo tempo, segnato dal coronavirus, in cui stanno succedendo cose che non avremmo creduto possibili solo qualche mese fa.
Gratitudine, è la parola che mi sembra più attinente alla famiglia ed alla casa.
Concretamente e in modalità improvvisa è stato come rivoluzionato il ritmo della vita familiare. Si è costretti ad un tempo H 24 di convivenza, ed è diventata impossibile la frequenza della scuola per i figli, e per tutti della propria comunità ecclesiale di riferimento.
È un peso giunto inatteso, ma può essere “reso leggero” da portare, se ci si allena alla gratitudine vicendevole.
Si scopre come la casa e la famiglia si fa come palestra di sentimenti e relazioni positive, che in precedenza erano trascurate o sacrificate ad altri interessi ed impegni: interessi ed impegni positivi, che speriamo di riprendere presto.
Invito ad essere grati per due riscoperte della vocazione sponsale e familiare.
La prima è la riscoperta della casa-famiglia come “scuola”: si è sempre sottolineato che i primi maestri ed educatori sono i genitori. Sono giorni di riscoperta della funzione educativa “intra moenia”, e forse anche di gratitudine verso gli insegnanti di professione delle istituzioni scolastiche (anche questa una “vocazione” che veniva un po’ trascurata e deprezzata prima dello scoppiare dell’epidemia).
La seconda riscoperta è quella della casa-famiglia come “chiesa domestica”. L’impossibilità a recarsi in parrocchia per la liturgia e la catechesi ha fatto riprendere forme diverse di preghiere e riflessioni insieme in famiglia: sono ricchezze da conservare e non trascurare quando sarà possibile tornare alla propria comunità di fede.
L’etimologia di “parrocchia” è “casa tra le case”, ossia la “Chiesa comune” centro di riferimento delle “Chiese familiari”.
Fatica, è il termine che mi sembra da legare alla vocazione sacerdotale.
La situazione della pandemia ha reso più faticosa la vita del sacerdotale, che non è mai stata facile ed esente da fatiche pastorali. Si sono aggiunte fatiche tanto psicologiche, nell’essersi sentiti improvvisamente come senza popolo, e fatiche dovute al bisogno di mantenere comunque viva la vita della comunità di cui si è Pastori.
Animare e tenere unito il proprio popolo che non po’ radunarsi nel “giorno del Signore” ed è privato di occasioni di incontri lungo la settimana, richiede al sacerdote ulteriori sforzi e pesi che rinnovano la fatica pastorale.
Papa Francesco ha ricordato più volte ai preti che sono chiamati a stare davanti-in mezzo-dietro al proprio gregge: delle tre posizioni, credo che la più faticosa sia la terza, stare dietro. È quanto vissuto con questa esperienza: da distanza si sono dovute cercare modalità perché “nessuno si perda”.
Si tratta di un’esperienza, ed anche allenamento, che non dovremo perdere al ritorno alla “normalità”.
Il Signore ci ha insegnato la fatica della pazienza, non a correre, ma a seguire un ritmo cadenzato rispettoso del passo delle varie persone, anche di quelle più lente.
Coraggio, è il termine da collegare alla vita consacrata nelle sue varie forme.
La storia della Chiesa dimostra che nei tempi di crisi e sofferenza generalizzata non è mai mancato l’apporto della vita consacrata. Anzi sono stati i momenti in cui sì è rinnovata diventando germe di riforma per la Chiesa e la società.
Alla vita consacrata corrisponde la vocazione della “profezia”.
È questo il momento del coraggio della “profezia”. È l’occasione della Provvidenza per ripensare la propria missione, rivedere gli spazi di vita e le istituzioni che si gestiscono con sguardo aperto e pieno di speranza nel futuro che viene.
Lode, è la parola che legherei non tanto a vocazioni, quanto ad una stagione della vita (la gioventù) e ad una attitudine (il volontariato).
C’è veramente da dare lode guardando al comportamento della maggioranza dei giovani in questo periodo di lockdown.
Ci stanno dando prova di responsabilità, di adattamento creativo alla situazione e di forte generosità. Veramente lottano perché non sia rubato loro il futuro e cercano di tratteggiarne i percorsi ed i contorni. Ed insieme ai giovani vanno lodate le tante forme di volontariato, che rispondono con professionalità e presenza alle urgenze e bisogni quotidianamente in crescita. La volontà di bene è insita nel DNA profondo dell’uomo, appartiene al cristiano ed al laico impegnato. Possiamo essere certi che stiamo assistendo non solo ad una tragedia, ma anche all’emergere della parte migliore della Chiesa, della società e della gioventù, che delle prime due è il futuro e ne possiede la chiave.
Sintetizzo, le quattro parole, con la frase finale del messaggio di papa Francesco: “carissimi, specialmente in questa Giornata, ma anche nell’ordinaria azione pastorale delle nostre comunità, desidero che la Chiesa percorra questo cammino al servizio delle vocazioni, aprendo brecce nel cuore di ogni fedele, perché ciascuno possa scoprire con gratitudine la chiamata che Dio gli rivolge, trovare il coraggio di dire “sì”, vincere la fatica nella fede in Cristo e, infine, offrire la propria vita come cantico di lode per Dio, per i fratelli e per il mondo intero”.
Fratelli e sorelle,
ascoltiamo e seguiamo il Buon Pastore, Lui è venuto “perché abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza”!
+ p. Franco crs
arcivescovo