Domenica «DEI SADDUCEI E LA RESURREZIONE», XXXII Dom. Tempo Ord. C

Lc 20,27-38 (leggi 20,27-40); 2 Mac 7,1-2.9-14 (7,1-42); Sal 16; 2 Ts 2,16-3,5 (2,13-3,5)

 

Oggi molti faticano a credere all’aldilà. Ciò è dovuto da una parte alla critica marxista che vede nell’attesa della vita eterna una evasione dalla responsabilità di trasformare questo mondo e dall’altra alla civiltà del benessere tutta tesa a proporre una edonistica felicità in questo mondo.

Che cosa sarà l’uomo dopo la morte? È il problema fondamentale dell’esistenza. Il futuro può ricuperare l’apparente fallimento dell’esistenza oppure ratificarne la sua inconsistenza e vanità? Se la vita presente è tutto, se non c’è speranza oltre la morte, è chiaro che è perso tutto e definitivamente. Non c’è progetto che possa imporsi, se tutti hanno un termine che li livella. Il progresso sembra avere uno smacco fatale e definitivo, se si conclude nel nulla della morte.

Un’altra importante riflessione: se il dialogo d’amore con le persone finisce per sempre, l’amore non è più il fulcro della vita dell’uomo, ma semplicemente una cosa tra le tante. Il problema posto dai sadducei non era un interrogativo marginale; essi hanno chiesto a Gesù il senso di ciò che è per l’uomo essere al mondo.

Noi cristiani siamo i testimoni della Risurrezione; dicendo inoltre che il nostro Dio è il Dio dei vivi e non dei morti, noi facciamo un’affermazione che non riguarda solo l’aldilà, ma anche il presente. Dio dei vivi, di chi già oggi è veramente vivente, impegnato fino in fondo nella vita per migliorare la situazione dell’umanità. Vita che non può finire perché è la stessa vita di Dio, vita che quindi continua al di là della morte fisica.

La rivelazione di Cristo appare dunque fondamentale: Dio è un Dio vivo per uomini vivi. È la sicurezza cristiana della nostra vita oggi. Da questa certezza nasce la gioia e la pace. La vita non fallisce perché è salva dalla morte.

Dio stesso darà compimento all’impegno dell’uomo nella storia al di là della storia, al di là della morte, la quale non è il limite ma la manifestazione, l’inizio della definitività di ciò che si è realizzato e a cui Dio ha fatto il dono del compimento.

Per noi che viviamo nel divenire è difficile immaginare una vita definitiva. Ma noi l’attendiamo con speranza da Dio che davvero ci ha amati e ci ha promesso una consolazione eterna e una speranza felice. Gesù rigetta in maniera assoluta ogni rappresentazione che l’immaginazione umana può farsi del regno di Dio quando dice: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della Risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della Risurrezione, sono figli di Dio» (cf Evangelo).

Leggere omelia di un autore del secondo secolo “Cristo volle salvare tutto ciò che andava in rovina” e poi il grande Agostino.

 

Seguiamo l’eucologia:

Antifona d’Ingresso Sal 87,3

La mia preghiera giunga fino a te;

tendi, o Signore, l’orecchio

alla mia preghiera.

 

 

 

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