Luca 10,25-37; Deut 30,10-14 (leggi 30,6-14); Salmo 18; Colossesi 1,15-20
Nella pagina evangelica un episodio molto noto, tutto sommato, abbastanza banale. Drammaticamente banale. Gesù lo racconta per rispondere alla domanda di un dottore della legge: «Chi è il mio prossimo?». L’interlocutore di Gesù sa che il cammino verso la vita si svolge nel concreto di un’esistenza animata dall’amore di Dio e del prossimo. Ma per identificare quest’ultimo vuole una regola chiara e sicura. L’aneddoto di Gesù è rivolto a far esplodere la ristrettezza di questa preoccupazione.
Un viaggiatore anonimo, selvaggiamente assalito e rapinato da alcuni banditi, viene abbandonato come morto sul bordo della strada. Uno dopo l’altro, passano due rappresentanti qualificati della religione giudaica. Si ponevano il problema teorico di chi fosse il loro prossimo? Fatto sta che nessuno dei due assiste il ferito. Chi si ferma, è un uomo che apparentemente non si preoccupa molto di morale e di religione: un samaritano. L’incontro col malcapitato non rappresenta per lui una questione di casistica, ma una realtà che gli colpisce il cuore. Ascoltando soltanto la propria compassione, tratta la vittima come vorrebbe essere trattato egli stesso se si trovasse al suo posto. Il dottore della legge riconosce che il samaritano è stato «il prossimo di colui che è incappato nei briganti».
Definizione sorprendente di prossimo! Per comprenderla, bisogna rifarsi a ciò che è stato detto poco prima: «Amerai il prossimo tuo come te stesso». Non si tratta più di definire il prossimo a partire da se stessi, come se si fosse il centro di tutto; si tratta piuttosto di collocare se stessi a partire dall’altro.
Questo è il capovolgimento operato dall’Evangelo, la «grande inversione di marcia», che sola può dare inizio al cammino dell’uomo verso Dio. Quando il Cristo è venuto sulla terra, si è identificato con l’umanità ferita: come un buon samaritano, ne ha avuto compassione. «Va’ e anche tu fa’ lo stesso», diventando il prossimo di chiunque ha bisogno di te.
Cristo si comporta con l’umanità come il samaritano del racconto evangelico verso lo sconosciuto: come il buon pastore viene a salvare le pecore spogliate, battute e messe a morte (Gv 10,10), come il figlio del padrone della vigna si presenta dopo i profeti mandati invano (Gv 10; Lc 20,9-18), così il samaritano arriva dopo i sacerdoti e i leviti che non hanno voluto e non hanno potuto salvare l’uomo ferito.
È riflessa qui la storia della salvezza in cui Gesù viene sotto l’aspetto di un samaritano disprezzato, rivela ciò che le altre tecniche della salvezza hanno dimenticato, costruisce proprio là dove queste tecniche hanno fallito. In Cristo Dio si è avvicinato all’uomo con una figura semplice ed umana. Il Dio che ora conosciamo «non è troppo alto né troppo lontano» da noi e la sua legge è molto vicina a noi; è nella nostra bocca e nel nostro cuore perché la mettiamo in pratica (prima lettura). Solo facendo quello che anche Cristo ha fatto incontriamo veramente Dio.
Il segreto è nel grande comandamento della carità che, con Cristo, reca nuove esigenze. Non basta più amare il prossimo come se stessi; occorre domandarsi come essere prossimo per l’altro e amarlo come Dio l’ama. Dopo la Cena, Cristo darà un comandamento nuovo: amare gli altri come si è stati amati (Gv 13,34). Bisogna prendere coscienza dell’appartenenza a questa umanità ferita, abbandonata mezzo morta sul ciglio della strada, che il Cristo è venuto a salvare.
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