Lc 6,39-45 (leggi 6,39-49); Sir 27,4-7; Sal 91; 1 Cor 15,54-58
«Alcuni fratelli stavano andando da Abba Antonio. Salendo sulla barca per recarsi da lui, trovarono un vecchio che non conoscevano e che era diretto verso lo stesso luogo. Seduti nella barca discorrevano fra loro ricordando alcune parole dei Padri e della Scrittura e parlando dei loro lavori manuali. Il vecchio taceva. Arrivati al porto, si scoprì che anch’egli andava da Abba Antonio. Quando arrivarono, quest’ultimo disse loro: «Avete trovato in questo vecchio un ottimo compagno di viaggio». Poi disse al vecchio: «Hai trovato degli ottimi fratelli, Abba». Il vecchio rispose: «Sono sicuramente buoni, ma la loro dimora non ha porte e chiunque può entrare quando vuole nella stalla e slegare l’asino». Parlava così perché i fratelli dicevano tutto quello che passava loro per la testa».
(Apoftegma dei padri del deserto)
Tutti abbiamo toccato con mano quanto possa essere ambigua la parola umana. Mezzo privilegiato di comunicazione e di comunione, può svelare o coprire, offrire la verità o distillare menzogna. Di rado essa esprime autenticamente quello che abbiamo dentro, perché può andare dalla trasparenza del cristallo all’opacità del vetro smerigliato. «Parole, parole, parole!», esclama Amleto di fronte alla vacuità di certi discorsi. Chiamati a far risplendere la verità dell’Evangelo, i discepoli del Cristo devono preoccuparsi prima di tutto della rettitudine del proprio animo, perché «la bocca parla dalla pienezza del cuore». È per mezzo della parola che insieme essi costruiscono la comunità in cui trovano reciproco sostegno. Se vogliono aiutare gli altri a vivere secondo l’Evangelo, bisogna che…
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