Mt 1,18-24; Is 7,10-14; Sal 23; Rm 1,1-7
Dio chiama anche Giuseppe a collaborare, nell’incarnazione del Figlio, col compito di inserire legalmente Gesù nella famiglia di Davide, secondo la promessa di Natan (2Sam 7,12). L’incarnazione avviene con la collaborazione degli uomini. Al contrario del re Acaz, Giuseppe accetta il segno del bambino nato dalla vergine, a dispetto di ogni paura e di ogni scrupolo. E noi, in che modo collaboreremo alla nascita di Cristo nel mondo di oggi?
La Chiesa, attraverso la predicazione e la liturgia, continua a ripetere all’uomo che la salvezza vera e definitiva è un dono che Dio stesso ci porta venendo fra noi. Al centro della liturgia di questa domenica sta la rivelazione di questo segreto, di questo mistero tenuto nascosto per secoli: lo svelamento, cioè, del piano salvifico che Dio ha preparato ed attuato per nostro amore.
La Chiesa, inoltre, nella sua preghiera sente anche il bisogno di chiedere la grazia di conoscere in modo vitale il mistero dell’incarnazione. È sempre stato arduo per la mente umana comprendere la realtà di Gesù, di quest’uomo «persona divina». Ancora più arduo è comprendere l’incarnazione del Figlio di Dio nel suo orientamento, voluto dal piano divino, verso il sacrificio pasquale. Soltanto la fede può farci luce su questo mistero.
La venuta nel mondo di Gesù-messia fa dell’umanità che lo accoglie nella fede un popolo-messianico, cioè un popolo che ha la missione di manifestare con tutto il suo modo di vivere il senso della salvezza dell’uomo attuata da Gesù, Verbo incarnato, nell’obbedienza a Dio fino alla morte di croce. Ciò significa affermare che la vera salvezza è il risultato dell’azione congiunta e indissolubile di Dio che ne ha l’iniziativa, e dell’uomo che vi collabora; significa ancora affermare che il terreno concreto della nostra testimonianza cristiana e messianica è quello dell’amore a tutti i fratelli senza alcuna discriminazione.
Sono capaci di questa testimonianza soltanto coloro che rinunciano totalmente a sé per essere disponibili a Cristo, servito ed amato nell’uomo. Questo è il mistero dell’incarnazione vissuto nella concretezza della vita.
La comunità dei credenti, raccolta in assemblea per celebrare il memoriale della morte e della risurrezione del Signore Gesù, chiede al Padre il dono natalizio della conoscenza vitale dell’incarnazione di Cristo. È una conoscenza che passa attraverso l’esperienza della croce, ma questo passaggio obbligato conduce alla gloria della risurrezione (I colletta).
Si chiude oggi il breve ciclo delle Domeniche d’Avvento ma anche questa Domenica come ogni altra Domenica è il «Giorno del Signore Risorto», contemplato oggi come Colui che venne nella carne. La pienezza della Redenzione, la Resurrezione del Crocifisso con lo Spirito Santo, motiva ed esplicita 1’«inizio della Redenzione», come i Padri chiamavano il complesso che dall’Avvento al Natale all’Epifania al Battesimo e a Cana è la premessa dell’adempimento finale.
La I preghiera di colletta ci fa pregare proprio in questa linea:
Infondi nel nostro spirito la tua grazia, o Padre,
tu, che nell’annunzio dell’angelo
ci hai rivelato l’incarnazione del tuo Figlio,
per la sua passione e la sua croce
guidaci alla gloria della risurrezione.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Ancora dall’eucologia:
Stillate dall’alto, o cieli, la vostra rugiada
e dalle nubi scenda a noi il Giusto;
si apra la terra e germogli il Salvatore.
L’Antifona d’ingresso è tratta da Is 45,8 dove tutto il cap. 45 nel contesto della composizione che va sotto il nome di «Secondo Isaia» (Is 40-55), descrive con toni di violenta polemica lo scontro del Signore Unico con la rovinosa idololatria del tempo (sec. 6° a. C). Il Signore è l’Unico Sovrano universale, il Creatore onnipotente e Onnireggente. Sotto la sua sovranità benefica sta soggetto tutto quello che Egli chiamò all’esistenza, cosmo, popoli, storia, non il solo Israele. Tutto avviene per gli uomini secondo il suo Disegno sapienziale imperscrutabile. Così Egli affida la sua missione salvifica, finalizzata anzitutto al suo popolo adesso in esilio, ma poi a tutte le nazioni, nelle mani di un pagano della steppa, di tribù barbare, Ciro re dei Persiani, il futuro rovesciatore della potenza immane di Babilonia, che era l’oppressione del mondo. La onnipresente Potenza di Dio dirige la storia degli uomini e solo Lui può ordinare sovranamente la nuova creazione: nei cieli, che dalle loro nubi «distillino la Giustizia» misericordiosa e salvifica, e sulla terra, così che questa produca «la Salvezza». Nella teologia del deutero-isaia si tratta di due personificazioni per indicare «Colui che viene» subito perché è il Promesso, l’Inviato unico del Signore «che crea tutte le realtà». Da adesso il Disegno divino sta per manifestarsi e sta per operare quanto ha decretato immutabilmente.
«Colui che viene» tuttavia venne dal Cielo, da Dio, come «nostra Giustizia». E poiché il Cielo si unì con la terra, venne anche dalla «Terra vergine», Maria, dalla cui inviolata verginità, dono divino, il Signore stesso si plasmò la carne del Figlio, come in antico aveva plasmato dalla terra vergine, infondendo all’argilla il suo Soffio divino (Gen 2,7). Questo linguaggio inaudito, che purtroppo come tanti tesori della Tradizione si perde nella sciatteria spirituale generale, è significante in modo straordinario. È una sintesi mirabile di «teologia della storia», sulla rigorosa base della Bibbia, che i Padri (da S. Ireneo in poi) hanno splendidamente esposto e codificato. Esso va recuperato, poiché è vero e dice fatti veri.
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