Gv 11,1-45; Ez 37,12-14 (leggi 37,1-14); Sal 129; Rm 8,8-11
Dopo i racconti della samaritana e del cieco-nato, ecco la terza narrazione costruita sul medesimo schema: un dialogo dal duplice significato, in cui sonno e risveglio designano la morte e la risurrezione. Ognuno di questi racconti pone in evidenza il fatto che Gesù nel battesimo si presenta come la sorgente d’acqua viva, la luce, la vita. Accanto a questo significato battesimale, il racconto di Lazzaro sviluppa, più chiaramente degli altri, il tema pasquale. La passione si profila all’orizzonte («Andiamo a morire con lui»); la morte viene incontro a Gesù nella persona dell’amico, ed egli ne resta turbato; ci sono le lacrime di Marta dinanzi alla tomba e, infine, il ritorno alla vita. Tutti questi particolari annunciano in modo evidente l’imminenza della morte e della risurrezione di Gesù.
Legato alla morte di Gesù, come suggeriscono diversi particolari del racconto evangelico, il «risveglio» di Lazzaro, nel testo di Giovanni, è il segno per eccellenza. Con questo segno, Gesù penetra nel paese della morte. La malattia e il decesso dell’amico, il dolore dei parenti, l’incredulità dei vicini gli fanno udire il sogghigno dell’ultimo nemico che gli rimane da vincere. Di fronte alla tomba Gesù è turbato, come sarà turbato al Getsemani: sa quello che lo aspetta.
Tuttavia, dal momento che è uscito allo scoperto e ha osato entrare nell’antro dell’avversario, dal momento che ha affrontato consapevolmente il rischio di perire anch’egli andando in aiuto di Lazzaro, Gesù sta già forgiando gli strumenti della sua vittoria. Non bada alla propria angoscia, si sottrae al fascino del nulla e non abbandona i suoi amici, dando già, in questo modo, la propria vita per loro. L’odore della morte può farlo vacillare per un istante, ma Gesù sa che non rimarrà prigioniero della tomba, perché sente uscire dal profondo di se stesso la parola potente che libera e rimette in cammino: «Lazzaro, vieni fuori!». Questa incursione nel paese della morte ci fa dunque vedere Gesù più vivo che mai. Vivo e capace di dare la vita a coloro che ama. A tutti quelli che hanno paura di rischiare la propria vita o che la custodiscono gelosamente, egli dice: «lo sono la risurrezione e la vita». E questo non significa soltanto che è capace di rovesciare le pietre tombali degli altri, e persino la propria. La risurrezione è la sua persona stessa, propagatrice di vita. «Dio ci ha dato la vita eterna, e questa vita è nel suo Figlio» (1Gv 5,11). Credere in lui vuol dire bere alla sorgente della vita, mettersi in piedi liberandosi dalle bende sotto cui si stava irrigiditi per paura di essere vivi e cominciare a produrre segni di vita intorno a sé.
Il Dio dei cristiani, il nostro Dio, non è «il dio dei morti, ma dei vivi», perciò il suo desiderio e tutto il suo piano di salvezza, consisterà in un lento e paziente lavoro, per riportare la vita laddove l’uomo aveva causato la morte.
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