Mt 22,1-14; Is 25,6-10a; Sal 22; Fil 4,12-14.19-20
Il disegno di Dio costituisce un compito per l’uomo. Il regno di Dio non discende dal cielo come un lampo. Se è vero che Cristo costituisce la pietra d’angolo della costruzione, gli uomini non possono esimersi dal collaborare all’innalzamento dell’edificio. L’ascolto della parabola di oggi, la terza parabola pronunciata da Gesù nel tempio di Gerusalemme e indirizzata ai capi dei sacerdoti e alle guide religiose che avevano contestato la sua autorità nella predicazione e nell’operare il bene (cf. Mt 21,23-27), riflette l’atteggiamento negativo di fronte al regno, l’atteggiamento di superbia di quelli che confidano nella propria giustizia, quella giustizia che possono acquistare col loro sforzo personale diretto a osservare scrupolosamente la legge; l’atteggiamento di coloro che rifiutano la vera giustizia, quella delle vie della salvezza, che procede da Dio. È una parabola strettamente collegata con la precedente, quella dei vignaioli malvagi (cf. Mt 21,33-43), perché il tema di fondo è lo stesso: il rifiuto opposto al Signore della vigna o al Re che offre il banchetto.
Tanto Matteo quanto Luca narrano sostanzialmente la stessa parabola, ma Matteo l’ha interpretata e adattata ai suoi lettori immediati, facendo di essa un compendio allegorico della storia della salvezza. Nel re che prepara il banchetto di nozze per il suo figlio e manda i suoi servi a chiamare gl’invitati è facile scoprire la corrispondenza fra gli elementi principali della parabola e la realtà che l’evangelista cerca di descrivere: Dio manda il suo Figlio. Lo annunziano i profeti. I primi invitati sono i giudei, il popolo eletto, che rifiuta l’invito. La parabola di Matteo ha la peculiarità dell’«abito nuziale» senza il quale si presentò al banchetto uno degl’invitati. Questo abito nuziale è un particolare della parabola. Non sappiamo che vi fosse un abito speciale per i banchetti nuziali: si dovrebbe trattare semplicemente d’un abito decente e pulito. Questo vestito indica e simboleggia…
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