Lc 21,5-19; Mal 3,19-20a; Sal 97; 2 Ts 3,7-12
Intervenendo nella storia in modo diverso dalle attese del popolo, Gesù di Nazareth non apporta una pienezza completamente fatta. La presenza del Signore non è un intervento magico che deresponsabilizza l’uomo. È vero, la pienezza promessa è giunta ma aspetta di essere compiuta. È un dono, ma insieme un impegno.
«A volte si vorrebbe che i risultati venissero dall’esterno, senza muovere un dito, come per un miracolo. L’azione di Dio per il Regno non si manifesta come una potenza esteriore: sia perché esso ci viene attualmente comunicato attraverso i segni storici che per sé sono oscuri e spesso ambigui e frammentari; sia perché Dio vuole coinvolgere anche l’uomo nella venuta del Regno» (Catechismo degli Adulti, pag. 54). La pienezza veramente ultima sarà ancora l’incontro di due fedeltà.
Nel discorso escatologico, Gesù spiega quindi il significato del suo intervento messianico, usando il vocabolario e i temi della letteratura apocalittica, linguaggio difficile per noi. L’intervento storico del Figlio dell’uomo inaugura gli ultimi tempi. La pienezza di vita è accordata. L’opera dei Messia è collocata sotto il segno dell’universalismo. Egli deve riunire tutti gli uomini dai quattro venti, perché tutti sono chiamati ad essere figli del Padre. Gerusalemme è condannata perché ha tradito la sua missione trasformando in privilegio per sé il servizio da rendere a tutti i popoli: essa non ha rinunciato al suo particolarismo. Il regno del Figlio dell’uomo non è il trionfo sui nemici del popolo ma…
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