Gv 1,35-42; 1 Sam 3,3b-10.19; Sal 39; 1 Cor 6,13c-15a.17-20
Dal commento all’evangelo di Giovanni, OMELIA 7 (Gv 1,34-51)
di sant’Agostino, vescovo
Il cielo aperto.
O tu Israele senza finzione, o popolo, chiunque tu sia, che vivi di fede, prima che io ti chiamassi per mezzo dei miei apostoli, quando stavi ancora all’ombra della morte e ancora non mi vedevi, io ti ho veduto.
1. Ci rallegriamo con voi per la vostra partecipazione, perché, oltre ogni nostra aspettativa, vi siete riuniti con tanto fervore. È questo che ci allieta e ci consola in mezzo a tutte le fatiche e le prove di questa vita: il vostro amore verso Dio, il vostro sincero desiderio di lui, la vostra ferma speranza, il fervore del vostro spirito. Avete sentito, nel salmo che è stato letto, la voce del bisognoso e del povero che in questo mondo grida verso Dio (cf. Sal 73, 21). Questa voce (ormai l’avete sentita tante volte e dovete ricordarla), non è la voce di un uomo solo ed è la voce di un uomo solo; non è la voce di un uomo solo, perché i fedeli sono molti: molti granelli che gemono frammisti alla paglia, sparsi in tutto il mondo; e tuttavia è la voce di uno solo, perché tutti sono membra di Cristo, e perciò un solo corpo. Questo popolo bisognoso e povero non trova il suo godimento nel mondo; e il suo dolore e la sua gioia sono dentro, dove non vede se non colui che esaudisce chi geme e corona chi spera. La gioia del mondo è vanità: la si attende con grande speranza e trepidazione, e quando arriva non si può trattenere. Questo giorno, ad esempio, è un giorno di allegria per la gente dissoluta di questa città. Domani non sarà più, e coloro che oggi tripudiano, non saranno più domani ciò che oggi sono. Tutto passa, tutto vola via, tutto si dilegua come fumo; e guai a chi ama tali cose! Ogni anima, infatti, segue…