Lc 21,5-19; Mal 3,19-20a; Sal 97; 2 Ts 3,7-12
DISCORSO 362
LA RISURREZIONE DEI MORTI.
di sant’Agostino, vescovo (PL 39,1611-1634)
Tema del discorso: la risurrezione dei giusti.
- 1. Vi abbiamo fatto leggere passi del Vangelo e dell’Apostolo adatti al discorso che ci ripromettiamo di svolgere secondo la promessa fatta. Quelli di voi che erano presenti la volta scorsa, ricordano che avevamo distinto in due parti la nostra trattazione sull’argomento della risurrezione: una – da svolgere in considerazione di coloro che hanno una posizione di dubbio o di negazione – se ci si può aspettare la risurrezione dei morti, l’altra – da svolgere in stretta aderenza alle Scritture – quale potrà essere nella risurrezione la vita dei giusti. Ma sulla prima parte in cui abbiamo sostenuto che i morti risorgono, ci siamo già intrattenuti, come certo ricordate, tanto a lungo che mancò il tempo di svolgere la seconda parte che abbiamo dovuto rimandare a oggi. Voi siete qui a richiedere quello che vi devo, e io riconosco venuto il tempo di darvelo.
- 1. Preghiamo dunque insieme, con pio slancio del cuore, il Signore perché io possa assolvere in modo conveniente il mio debito e sia a voi salutare l’ascoltarmi. La parte che dobbiamo trattare ora è, lo si deve riconoscere, la più difficile, ma l’amore è più forte di tutte le difficoltà, e all’amore tutti dobbiamo servire, perché Dio, che vuole questo da noi, renda facile e gioioso quello che è difficile.
Connessione con il discorso precedente.
- 2. Ricordate che nel discorso precedente avevamo voluto rispondere ad alcuni che dicono: Mangiamo e beviamo perché domani moriremo. Già li rimproverò l’Apostolo aggiungendo: Le parole cattive corrompono i buoni costumi e concludeva: Siate sobri, o giusti, e non peccate: alcuni infatti dimostrano di non conoscere Dio, ve lo dico con tutta vergogna1. Queste parole dell’Apostolo le abbiamo udite tutti e le abbiamo impresse nel nostro cuore: e chi ascolta e accoglie nel cuore la parola, la deve testimoniare nell’agire. L’ascoltatore è come un campo che riceve il seme del seminatore: chi riceve la parola nel cuore fa come chi, rotta la zolla, copre il seme gettato, chi poi agisce in modo conforme alla parola ascoltata e accolta, cresce a formare la messe e con pazienza dà frutto, chi il trenta chi il sessanta chi il cento 2; e a lui si prepara non già il fuoco, che invece attende la paglia, ma il granaio dove viene riposto il frumento.
- 2. Nella risurrezione dei morti si troverà in quei granai reconditi la felicità perpetua, anch’essa nascosta, dei giusti che la Scrittura assicura saranno là accolti.
Immagini usate per indicare la venuta del Regno.
- 3. Altrove viene usata anche l’immagine dei canestri, che è richiamata da quella della rete usata da Gesù, per indicare il regno dei cieli : Il regno dei cieli è simile a una rete gettata in mare che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, seduti, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi3. Il Signore vuole dire che la parola di Dio è diffusa tra i popoli come una rete gettata nel mare: mediante i sacramenti cristiani essa raccoglie buoni e cattivi, ma non tutti coloro che la rete raccoglie sono anche riposti nei canestri, intendo dire nelle sedi dei santi; nelle segrete dimore della vita beata non potranno giungere tutti quelli che si dicono cristiani, ma quelli che lo sono realmente. Allo stesso modo pesci buoni e cattivi entrano nella rete e i buoni tollerano i cattivi, finché alla fine vengono separati. In un altro passo si legge anche: Tu li nascondi al riparo del tuo volto4, che è riferito ai santi che entrano là dove né gli occhi né il pensiero dei mortali li possono seguire. Il riparo del tuo volto indica qualcosa di troppo nascosto, segreto per essere penetrato: non lo si deve interpretare materialmente quasi che Dio abbia un volto enorme con qualche nascondiglio dove riporre i santi: sono interpretazioni materiali che il credente deve sapere respingere. Il riparo del volto di Dio significa qualcosa che solo alla sua vista è noto. Dunque quello che è a noi nascosto viene espresso con immagini varie, ora granai ora canestri, che non corrispondono alle cose che intendiamo comunemente con tali vocaboli, perché in tal caso non sarebbero interscambiabili, corrispondendo a realtà diverse; ma con l’uno o l’altro vocabolo si vuole suggerire qualcosa che è a noi sconosciuto. Con immagini di cose note agli uomini si vuole far loro capire, per quanto è possibile, quello che non conoscono. L’uno e l’altro termine – granai o canestri – dovete interpretarli riferiti a qualcosa di nascosto. E se vi chiedete che cosa, ascoltatelo dalla voce ispirata: Li nasconderai al riparo del tuo volto.
Desiderio della patria vissuto nella fede.
- 4. Stando così le cose, o fratelli, noi siamo pellegrini in questa nostra vita e ancora aspiriamo nella fede alla nostra patria, non sappiamo quale. Ci è appunto ignota la patria di cui siamo cittadini, perché andando lontano da essa nel nostro pellegrinaggio terreno, ci siamo dimenticati di essa. A eliminare tale dimenticanza dai nostri cuori, è venuto tra noi pellegrini Cristo nostro Signore che è il re di quella patria. La sua divinità, con l’assunzione della nostra carne, diventa per noi la via, perché attraverso il Cristo-uomo noi camminiamo, e nel Cristo-Dio dimoriamo. Quelle cose nascoste che occhio non vide né orecchio udì né mai entrarono in cuore di uomo5, noi non sappiamo con quali parole illustrarle, con quali occhi guardarle. Talvolta possiamo conoscere qualcosa senza riuscire a esprimerlo, ma non siamo in grado di dire quello che non conosciamo. Se dunque può avvenire che io non riesca a dire quello che pure conosco, ben più difficile sarà il mio parlare perché anch’io, o fratelli, cammino come voi seguendo la fede, non ancora godendo la visione. Ma questo vale anche per l’Apostolo stesso, non solo per me: egli consola la nostra ignoranza e rafforza la nostra fede: Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto. Questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù.6
E con questo dimostra di essere anch’egli in cammino. Altrove ancora scrive: Finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione 7. E ancora: Nella speranza noi siamo stati salvati. Ora ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti ciò che già uno vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza 8.